Un decreto ministeriale di semplice attuazione di provvedimenti esistenti che si trascina da mesi. Dichiarazioni su questioni importanti che cambiano di segno nello spazio di pochi giorni. Rimozione di questioni fondamentali solo perché poco accattivanti sul piano mediatico. Che succede alla gestione dell’energia del governo?

La scorsa estate l’attribuzione delle deleghe Mise sull’energia a due ingegneri aveva giustamente creato nel settore l’aspettativa di un’interlocuzione proficua. Che in effetti si è concretizzata, in particolare per il grande attivismo del sottosegretario Crippa, titolare di molti tra i dossier di maggiore attualità. Ciò non ha impedito però che ad alcuni mesi di distanza l’azione del governo sull’energia appaia ingolfata e priva di una direzione chiara. Mentre quella possibilità di interlocuzione sembra ormai quasi una maledizione: i rappresentanti del ministero – non certo il ministro Di Maio, assente dalla scena, ma ancora una volta i sottosegretari Cioffi e Crippa – non mancano praticamente un tavolo, un convegno, un confronto (dai fondamentali ai più prescindibili) ma questo non sembra tradursi in un miglioramento dell’azione di governo, anzi. Il decreto FER era già sul tavolo quando il governo Conte ha giurato. Non si tratta di una finanziaria o di una riforma generale della macchina pubblica ma solo di un decreto attuativo in una cornice normativa già data. Eppure ancora non esce per ragioni che, dopo mesi di incontri, pressioni incrociate e indecisione del decisore, nessuno sembra più nemmeno in grado di spiegare. Il Mise sembra aver alzato le mani, chiedendo implicitamente alla Conferenza unificata di togliergli le castagne dal fuoco. O almeno così sembrano aver capito tutti, visto che le pressioni dei portatori di interesse – v. le lettere di Elettricità Futura e Utilitalia – si concentrano apertamente sulle Regioni, investite di un ruolo sproporzionato nella decisione finale. Che non promette nulla di buono, vista la centralità del nodo autorizzativo per le prospettive delle FER. Nel recente passato il ministro Calenda era certamente caduto nell’eccesso opposto: totalmente non dialogante su alcune decisioni chiave, dagli energivori alla scelta di campo de facto a favore del gas. Riservando gli spazi di ascolto alla Sen, che però non doveva portare ad alcun atto impegnativo. Ora però la volontà del Mise di ascoltare tutti (quasi, in verità) si accompagna a un’indecisione elevata a sistema, con inversioni di rotta vertiginose. Ne sono solo gli ultimi esempi la definizione del target nazionale sulle FER nel futuro Piano energia clima e le garanzie pubbliche sui PPA, su cui le dichiarazioni di Crippa hanno visto un’inversione a U quasi totale nello spazio di pochissimi giorni.  Parte non secondaria del problema è certo la menzionata assenza di Di Maio sull’energia, che depotenzia gravemente l’Italia sui tavoli europei. Dove sono in corso partite delicate ad esempio sul clean energy package e dove il nostro Paese è l’unico a vedersi rappresentato non dal ministro ma dal sottosegretario, che per quanto studi non tratta alla pari coi suoi interlocutori. Se poi Crippa è lasciato solo dal ministro, a sua volta sembra condividere con lui un pericoloso strabismo sui temi da affrontare. Si è già notato come per il governo, e il M5S in particolare, gli idrocarburi sembrino semplicemente non esistere, dai carburanti fino al gas. Nel primo caso non si sa neppure chi se ne occupi. “Lo stiamo decidendo” rispondeva Cioffi a inizio ottobre, cinque mesi dopo il giuramento del governo e tre dopo l’attribuzione delle deleghe. Ne sono passati altri due ma la questione pare ancora aperta.  Eppure anche dando per buono il più ottimistico degli scenari Sen, che vorrebbe 5 milioni di auto elettriche su strada al 2030, altri 30 milioni e più andranno ancora a benzina, gasolio e gas. Non interessa a nessuno capire che tipo di sistema garantirà le forniture? Le raffinerie chiudono, il commercio è sempre più invaso dall’illegalità, ma per il governo (in buona compagnia coi precedenti) il tema non pare esistere. Anche di gas è vietato parlare, le strutture ministeriali competenti sono completamente abbandonate a se stesse. Forse sarà l’imbarazzo sul TAP che pesa ma l’amnesia rischia di essere perfino pericolosa. Nel 2050 sarà certo diverso ma nel 2018 il gas è ancora un pilastro del sistema energetico italiano, l’inverno è cominciato e rientra tra le competenze del ministero dare attenzione a un tema che, oltre che di politica industriale e ambientale, è anche di sicurezza. Passando dall’oggi al futuro prossimo, cosa pensa il governo della metanizzazione della Sardegna? La regione ha ancora un Piano che la prevede, incluso il controverso progetto di dorsale. Crippa ha detto che la dorsale non serve mentre Salvini ha fatto capire di volerla, anche se solo per allusioni e alla vigilia delle elezioni. Qualcuno si incaricherà di dipanare la matassa?

La competenza sull’energia appartiene al Mise. Il ministero però non sembra riuscire ad esercitarla, mancando all’appello al momento di decidere. Una situazione in cui l’impegno pur generoso di Crippa rischia di andare disperso. Nell’attuale fase il governo potrebbe effettivamente essere vicino a una rottura. Col decreto sicurezza approvato e i sondaggi in aumento il paniere di Salvini pare ormai pieno e la legge di Bilancio può offrire infiniti pretesti per rompere. In quel caso sarà inevitabile proseguire su un crinale elettoralistico, in cui il merito delle questioni non conta più. Se però la maggioranza dovesse tenere non è più rinviabile il momento di mettere i piedi a terra, smettere di andare a tutti i convegni e cambiare marcia.

Ministro (e sottosegretario) tornate a bordo.  Staffetta 30.11.2018