Una macchina che gira a vuoto, ma continuando a consumare energie
Questa l’impressione che si ricava dall’analisi che segue sullo stato delle gare per la distribuzione gas, che tra pochi bandi pubblicati, continui rinvii e ancor più numerosi ricorsi, vedono rinnovarsi di anno in anno le procedure preparatorie in attesa di un decollo che non arriva. Intanto continuano ad aprirsi nuovi fronti di contenzioso – l’ultimo sui poteri sostitutivi della stazione appaltante verso i comuni inadempienti – che aggravano il contesto già ingarbugliato. A tracciare il quadro è Giulio Gravaghi, amministratore unico di Sciara, società attiva nella consulenza agli enti locali nella preparazione e gestione delle procedure di affidamento e in generale per le tematiche legate alla distribuzione gas. Il 2019 per molti, non per chi scrive, è stato indicato come l’anno d’avvio delle gare gas, prodromiche ad una radicale riforma del servizio di distribuzione del gas naturale nel nostro Paese.
Una riforma “in incubazione” dall’11 febbraio 2012 e mai decollata.
E’ noto infatti che delle 177 gare, previste negli altrettanti ATEM in cui è stata suddivisa l’Italia, ne è stata conclusa solo 1 (ATEM Milano1) il cui risultato è stato impugnato da 2i Rete Gas, società seconda classificata.
Da tempo abbiamo spiegato le ragioni per cui le gare non sono decollate e, a legislazione vigente, non si svolgeranno mai.
Quei pochi impavidi che hanno pubblicato il bando, o anche solo una manifestazione d’interesse, hanno “pagato caro” le loro velleità diventando oggetto e involontariamente protagonisti di costosi ricorsi e perdite di tempo.
Siamo comunque ad aprile e nessun’altra gara è stata avviata.
Il cruscotto di ARERA, che raccoglie la documentazione di gara delle stazioni appaltanti che hanno avviato la procedura di gara, è fermo a 16 pratiche di cui alcune notoriamente bloccate dagli stessi proponenti a seguito di ricorsi o problemi d’altra natura.
Divertenti, sempre per non piangere, i continui rinvii delle scadenze che questi eroi hanno stabilito (qualche ATEM è arrivato al quarto rinvio, qualcuno ha posticipato la scadenza al 31.12.2020).
Una situazione obiettivamente grave, soprattutto se teniamo conto che tutte le concessioni sono scadute per legge il 31.12.2012 e in conseguenza di ciò la gestione di questi impianti e dei sistemi tecnologici che ne favoriscono il governo è limitata all’ordinaria amministrazione con gli investimenti ridotti al lumicino.
I maggiori stakeholders del settore, avendo a disposizione ingenti capitali pronti ad essere utilizzati per partecipare e vincere, si stima, circa 130 ATEM su 177 (si prevede che Italgas e 2i Rete gas acquisiscano gran parte di questi ATEM), nel 2018 hanno ridato fiato agli investimenti per l’ammodernamento e l’estensione degli impianti di distribuzione del gas naturale e, parallelamente, hanno avviato importanti “campagne acquisti”.
La sola Italgas nel 2018 ha acquisito 190.000 PdR mentre 2i Rete Gas ne ha acquisiti circa 500.000.
Spiace leggere ciò che ha dichiarato l’AD di Italgas in una intervista al Corriere della Sera, accusando i Comuni e le Città metropolitane di mancanza di professionalità, auspicando l’intervento dello Stato.
Sarebbe bastato che proprio le grandi società del settore aprissero un dialogo con gli Enti locali, attraverso convegni o momenti formativi, insegnando loro come gestire e svolgere le attività istruttorie propedeutiche alla pubblicazione del bando di gara per l’individuazione del gestore unico del servizio a livello di ambito.
Così come MiSE, ARERA ed ANCI avrebbero dovuto insegnare ai Comuni come sfruttare al meglio l’Una tantum puntando ad avere al fianco advisor professionalmente esperti capaci di guidare, assistere e surrogare, quando necessario e nel rispetto della legislazione vigente, l’Ente locale.
Purtroppo registriamo che spesso le cose non sono andate finora così.
Giocando sulla scarsa conoscenza della materia molti Comuni sono stati indotti a speculare sull’Una tantum firmando contratti di consulenza a valori insostenibili, non avendo presente che quanto non speso deve essere versato alla Cassa Conguaglio.
Perché non dice l’AD di Italgas che i problemi nascono invece dal non volere “dare a Cesare ciò che è di Cesare”: basterebbe accettare pari trattamento ai gestori ed ai Comuni e tutto si sbloccherebbe.
Perché sostenere la RAB come riferimento principe e non il solo VIR come previsto sia dal D.Lgs 164/2000 sia dal DM 226/2011?
Perché proporre ai Comuni procedure che hanno come unico obiettivo il riconoscimento del valore di rimborso e senza tener conto del TUEL (Testo Unico Enti Locali, ndr) e di altre norme di carattere più generale?
Curioso e divertente, sempre per non piangere, che questi alfieri delle gare d’ambito propugnino la valorizzazione a RAB degli impianti dei gestori uscenti senza nulla riconoscere agli Enti locali proprietari di impianti non compresi nel valore della RAB (sono la stragrande maggioranza).
E se queste regole valgono per tutti, è difficile capire e spiegare perché le acquisizioni fatte nel 2018 da queste grandi società di distribuzione sono sempre avvenute a valori prossimi al VIR se non addirittura superiori.
Una delle tante contraddizioni di un sistema normativo che in questi anni ha visto stravolta da leggi, decreti, delibere ARERA e addirittura FAQ ministeriali, la filosofia del DM 226/2011 e dello stesso D. Lgs 164/2000.
Con un unico tragico risultato: le contraddizioni insite in questa selva di norme e le penalizzazioni previste per gli Enti locali e i gestori che dovranno lasciare quest’attività hanno bloccato, per non dire ucciso la riforma.
Difficile prevedere lo sblocco di questa situazione di stallo non potendo sperare a breve quegli interventi legislativi da tempo paventati da pochi visionari e oggi caldeggiati anche da associazioni quali ANIGAS, ASSOGAS e, naturalmente, ANCI, portatore e difensore degli interessi degli Enti locali che, a legislazione vigente, saranno pesantemente penalizzati dalle condizioni che le regole delle gare riservano loro.
Le ragioni di tale pessimismo circa l’avvento di nuove leggi che permettano lo svolgimento delle gare e quindi il rinnovo dei contratti concessori, è dato da queste considerazioni:
• Il Parlamento è in altre faccende affaccendato e agli atti dei lavori parlamentari non ci sono tracce di questa problematica;
• Il MiSE ha qualche problema operativo essendo in corso uno spoil system che ha già visto la recente sostituzione di figure apicali molto esperte di questa materia con altri neofiti della specifica materia;
• ARERA ha rinnovato totalmente il Collegio da pochi mesi e pare difficile possa proporre novità significative senza l’avallo del MiSE e del Parlamento;
• Le Regioni hanno in gran parte capito in quale “cul de sac” si è infilata la riforma e attendono dagli organi competenti chiarimenti ed indicazioni operative applicabili.
• Il 26 maggio sono chiamati al voto i cittadini di migliaia di Comuni per il rinnovo dei Consigli comunali. Ciò significa che le Giunte comunali, ma soprattutto i Consigli comunali di questi Comuni, saranno di fatto inattivi per un periodo non certo brevissimo.
In questo contesto così avvilente verrebbe spontaneo gettare la spugna, invece la maggioranza dei soggetti interessati continua a lavorare per completare la documentazione prevista ai fini della gara d’ambito, dovendo richiedere documenti ai gestori uscenti per la terza o quarta volta per rifare le valutazioni ed altre pratiche accessorie, appunto per la terza o quarta volta.
Molti Comuni sono amareggiati e preoccupati per il futuro che li attende, fatto di taglio dei canoni e aumento dei costi, derivanti dalla patrimonializzazione delle reti gas (D.Lgs.118/2011), che non troveranno ristoro nella remunerazione tariffaria prevista.
Anche molti gestori medio-piccoli, destinati ad essere espulsi dal business, lamentano condizioni penalizzanti che certamente non ne favoriscono l’uscita.
Oggettivamente una situazione grottesca che va monitorata in continuo sia sotto il profilo legislativo sia operativo, evitando inutili ulteriori dispendi di tempo e denaro.
Difficile a questo punto capire quelle stazioni appaltanti che, su consiglio dei loro advisor (che hanno la responsabilità maggiore nell’indirizzare le scelte operative di questi Enti), hanno esercitato il potere sostitutivo previsto dall’art. 2 comma 6 del DM 106/2015 nei confronti di quei Comuni che sono in ritardo nella produzione dei documenti richiesti.
Leggendo il testo del DM è evidente la forzatura in quanto i termini cui fa riferimento la norma per procedere all’esercizio del potere sostitutivo sono abbondantemente scaduti e quindi diventa del tutto arbitrario far scattare un provvedimento di fatto inefficace in quanto siamo in presenza non di conclamate inadempienza dell’Ente commissariato ma di oggettive difficoltà di procedere per vari motivi ben noti agli addetti ai lavori.
Imbarazzante poi constatare che il compito di svolgere le attività dei Comuni sanzionati viene affidato all’advisor della stazione appaltante, remunerato con la quota di Una tantum che la stessa stazione appaltante chiede in restituzione ai Comuni dell’ATEM oggetto di commissariamento. E se qualche Comune sanzionato impugna il provvedimento? No problem: l’advisor mette a disposizione anche il legale di supporto alla stazione appaltante.
Il fenomeno va stigmatizzato e censurato in quanto sta prendendo piede al punto che in un ATEM (Bergamo 5) sono stati sanzionati ben 15 Comuni su 34!
L’esperienza insegna che limitando il rapporto tra stazione appaltante e Comuni a burocratiche lettere o e-mail (pardon: Pec), si creano incomprensioni che solo confronti periodici “vis a vis” possono evitare.
Certo è difficile assicurare un dialogo ed un confronto costante e proficuo a fronte di incarichi iniziali agli advisor assegnati a valori ridicoli, ben lontani da quelli fissati dall’Una tantum, con clausole di pagamento impossibili da sostenere che, con il dilatarsi delle tempistiche, hanno messo in difficoltà qualche advisor.
Azioni come quelle suesposte, pur essendo formalmente ineccepibili dal punto di vista legale, generano forti dubbi sulla loro opportunità stante il contesto in cui boccheggia la riforma.
Ancora una volta quindi auspichiamo che Legislatore, Mise, Arera e le Associazioni di categoria aprano un sereno e costruttivo confronto per addivenire a soluzioni legislative applicabili e eque nei confronti di tutti i soggetti interessati, senza pregiudizi o dogmi.
Giulio Gravaghi Staffetta Quotidiana, 16-4-2019